Casa e studio veterinario a Fara Sabina
2015 _ Fara Sabina, Roma
2015 _ Fara Sabina, Roma
Nel contesto della progressiva scissione fra forma e attività urbane che caratterizza le metropoli contemporanee, il progetto della casa-studio e del pets recovery qualifica un tassello del paesaggio periurbano di Roma attraverso l'inserimento di un ibrido funzionale abitazione-lavoro. Interpreta il tema della configurazione dello spazio libero della proiezione della città verso la campagna secondo una nuova declinazione civile, caratterizzata dalla presenza di funzioni e tempi attinenti alla vita urbana e legati all'ambito metropolitano, in stretta relazione con i valori ambientali e paesaggistici. Su queste tematiche, Roberto Cherubini, autore di esperienza spesso rivolta alla dimensione della città culminata nei progetti per il riutilizzo delle aree aeroportuali dismesse di Reykjavik, Quito e Città del Messico, ha trovato l'occasione di proporre in un piccolo intervento l'inviluppo di motivi funzionali e architettonici solitamente propri del progetto di scala più ampia. Accompagnati da una sobrietà formale che, per esplicita dichiarazione dell'autore, si richiama alle sue esperienze giovanili con Oswald Mathias Ungers, protagonista dell'architettura del progetto urbano, in Europa e negli Stati Uniti, durante gli anni ottanta del novecento.
Il progetto presenta alla piccola scala le caratteristiche proprie di un sistema. Propone la coesistenza di spazi di abitazione e di spazi di lavoro non prettamente rurale legato alla domanda dell'area metropolitana romana: l’attività di veterinario e l’ospitalità rivolta ad animali di piccola taglia.
La presenza delle diverse attività si manifesta nell'organizzazione del progetto per parti, disposte entro il paesaggio naturale. Nella tessitura lineare di ulivi sul territorio lievemente scosceso della Sabina, il sistema di progetto inserisce un tracciato ortogonale che struttura l'inserimento di più elementi, dotati delle proprie gerarchie e relazioni.
Caposaldo del progetto è il volume che ospita l'abitazione con annesso studio veterinario, situato in posizione dominante, e strutturato da un muro compatto che lo cinge esternamente verso nord e si interrompe a sud per aprirsi verso il paesaggio. Di impianto ad "L" costruito su base quadrata, l’edificio è incardinato dalle giaciture ortogonali che lo dividono in quattro quadranti. Uno è vuoto, patio verde e apertura panoramica sull'uliveto a valle, gli altri tre ospitano le funzioni, distribuite secondo i medesimi tracciati: soggiorno e cucina in un'ala, la zona notte nell'intersezione, lo studio veterinario nell'altra.
Gli ambienti dell'edificio gravitano intorno al vuoto del patio, conservando tuttavia una propria indipendenza grazie al sistema distributivo per assi ortogonali. Ingressi e piccole bucature sono ritagliati nel muro esterno, chiuso ai venti freddi, mentre le facciate rivolte verso il patio a sud sono alleggerite da una serrata successione di tamponature e aperture a tutta altezza. Il ritmo della partitura delle vetrate scorrevoli e delle inferriate ripiegabili su loro stesse smaterializza le superfici del patio in modo che lo spazio interno risulti in continua tensione con il paesaggio esterno.
La copertura inclinata ad impluvium, in legno lamellare e rivestita in alluminio, termina con una pensilina in leggero aggetto che integra abilmente i panelli fotovoltaici. I dispositivi di produzione di energia rinnovabile sono inseriti, non celati, costituendo un elemento che si relaziona con la composizione: enfatizza l'impluvium, ombreggia le aperture e dichiara la struttura lignea all'esterno.
Intorno al caposaldo abitativo, un piccolo muro di contenimento apre alle relazioni più ampie e viene richiamato da un secondo muro che definisce l'ambito del pets recovery. Qui, più in basso, un doppio sistema di contenimento intacca dolcemente il profilo della collina e disegna uno spazio, segnalato da un volume bianco per il lavoro che rimanda linguisticamente alla cinta del volume principale. Dietro, su una platea di cemento, il pets recovery è una invenzione architettonica. Elementi prefabbricati, cellule per il ricovero degli animali di piccola taglia, disposti in serie dal progettista, creano una successione di spazi e di eventi luminosi di notevole effetto plastico. Il sistema di muri bianchi ospita al suo interno un secondo sistema, tecnologico, metallico, industriale, in sintonia con le aperture, le canne fumarie e la copertura metallica del volume principale.
Nella dialettica linguistica si ritrova la relazione fra le parti. I muri di contenimento hanno il ruolo fondativo, definiscono gli ambiti e le relazioni fra le funzioni inserite, dialogano con il suolo, e sono replicati dalla cinta del volume principale. Su questa traccia si modula l'inserimento degli elementi metallici, leggeri, ritmati, che concorrono con la sobrietà mediterranea dei segni bianchi a definire un linguaggio proprio del sistema, ricercando un legame non mimetico con il paesaggio dell'uliveto. Un richiamo ad un ordine e ad una pacatezza di espressione di cui si avverte oggi maggiormente la mancanza proprio in quel paesaggio periurbano per cui questo progetto è stato concepito.
Progettisti: Roberto A. Cherubini, Andrea Lanna, Paola Cardinale
In the context of the progressive division between form and urban activity that characterizes contemporary cities, the design of the house-studio and the pets recovery qualifies a piece of the peri-urban landscape of Rome through the inclusion of a functional hybrid housing and work. It interprets the theme of the free space configuration of the city's projection towards the countryside according to a new civil declination, characterised by the presence of functions and times related to urban life and linked to the metropolitan sphere, in close relation to environmental and landscape values. On these themes, Roberto Cherubini, author of an experience often addressed to the dimension of the city culminating in the projects for the reuse of the abandoned airport areas of Reykjavik, Quito and Mexico City, found the opportunity to propose in a small intervention the development of functional and architectural motifs usually typical of the larger scale project. Accompanied by a formal sobriety which, in the author's explicit statement, recalls his youthful experiences with Oswald Mathias Ungers, a leading figure in urban design architecture in Europe and the United States during the 1980s.